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Bob Seger: La Voce della Classe Operaia Americana

Bob Seger: La Voce della Classe Operaia Americana

Robert Clark “Bob” Seger (Detroit, 6 maggio 1945) è un cantautore, chitarrista, pianista, organista e arrangiatore statunitense.

Cresciuto nel sobborgo di Dearborn, incominciò a cantare a metà degli anni Sessanta in gruppi minori – quali The Decibels, The Town Criers e Doug Brown and the Omens (con cui nel 1965 incise il suo primo disco singolo) – nei locali di Ann Arbor e Detroit (dove la famiglia si era nel frattempo trasferita).

Tali esperienze gli consentirono di farsi conoscere e apprezzare da impresari dello show business e del mondo discografico (la città di Detroit è conosciuta, oltre che per l’industria automobilistica, anche per essere sede della Motown, insieme a Nashville, Tennessee, uno dei più importanti poli musicali statunitensi) e di giungere al grande successo nei successivi anni Settanta e Ottanta.

Nel 2006 ha pubblicato, a distanza di undici anni dal suo precedente lavoro discografico, l’album Face The Promise. Nella sua lunga carriera non ha mai cessato di portare in tour attraverso l’America le sue canzoni.

Il suo nome appare dal 2004 nella Rock and Roll Hall of Fame ed è in lista insieme quello della Silver Bullet Band nell’elenco dei musicisti che fanno parte delle celebrità della Hollywood Walk of Fame, inscritta al numero 1750 di Vine Street, Hollywood, California.

Nell’ottobre del 2014 pubblica il nuovo album Ride Out con materiale inedito e cover di Steve Earle, Woody Guthrie e John Hiatt.

 

Repertorio

Questo artista è conosciuto prevalentemente per la sua attività con la Silver Bullet Band, il gruppo musicale da lui creato nel 1974 dopo le esperienze alla guida della Bob Seger and the Last Heard, poi trasformata nella rock band Bob Seger System.

In particolare, gli album Live Bullet, frutto delle registrazioni di una lunga serie di concerti tenuti nel 1976, e Night Moves – ricco di numerose hit – gli hanno garantito un successo internazionale.

I brani di Seger – che si occupa tanto dei testi quanto della musica – riflettono la filosofia tipica del Midwest (gli stati centrali degli USA) e affrontano spesso temi legati al mondo del proletariato (quello dei cosiddetti “blue-collar”, le “tute blu” delle numerose fabbriche e industrie di Detroit e dintorni). La prima parte della sua carriera non è stata esente, al pari di quelle di suoi colleghi coevi, da forti influssi della cultura hippy ispirata alle filosofie indiane che avevano il loro epicentro nella città di Kathmandu.

Fanno parte del suo repertorio numerose canzoni registrate a partire dal 1968 per l’etichetta Capitol Records/EMI e diventate classici mondiali del rock and roll, come Turn the Page, ripresa dai Metallica, Like a Rock (che è anche il titolo dell’album omonimo, fra i suoi più conosciuti e apprezzati, inciso nel 1986 e rilanciato all’interno del film del 2004 The Door in the Floor) e, quale simbolo della sua produzione, Old Time Rock and Roll, considerata dalla critica una fra le migliori canzoni del XX secolo e inserita nella colonna sonora del film Risky Business.

Altri suoi motivi di successo sono poi stati Hollywood Nights, We’ve Got Tonight (portata al successo in Italia nella cover di Gianni Morandi con Amii Stewart, testo in italiano di Nini Giacomelli e Sergio Bardotti dal titolo Grazie perché, e da Giorgia in duetto con l’irlandese Ronan Keating il quale l’ha riproposta in duetto anche con le cantanti Jeanette Biedermann e Lulu), Till it shines (cantata in Italia da Anna Oxa col titolo Il pagliaccio azzurro), Fire Lake e Against the Wind.

 

Carriera

Seger ha portato avanti nella sua carriera numerose e prestigiose collaborazioni con altri musicisti prevalentemente statunitensi. Molte sue canzoni sono state eseguite in concerto e registrate su disco da vari cantanti e gruppi, fra cui i Metallica. Egli stesso ha a sua volta cantato insieme e per altri musicisti, fra cui Gene Simmons (appare come background vocal nell’album omonimo del bassista della hard rock band dei Kiss) e Roy Bittan, pianista e organista della E Street Band di Bruce Springsteen.

Per gli Eagles ha scritto Heartache Tonight che raggiunse il top di vendite negli USA, inserita nell’album del 1979 The Long Run. La collaborazione è poi proseguita con Glenn Frey degli stessi Eagles.

Il brano Shakedown, inserito nel film Beverly Hills Cop II, di cui ha scritto il testo assieme a Keith Forsey e a Harold Faltermeyer, ha ricevuto una nomination al premio Oscar del 1988.

Sempre negli anni Ottanta, partecipò al telefilm Miami Vice inserendo in un episodio la sua canzone intitolata Miami.

Il successo di Seger, che è stato a sua volta influenzato, fra gli altri, da musicisti di blues e jazz, come The Rolling Stones e Van Morrison, ha aperto la strada ad artisti di vaglia che hanno da lui mutuato temi e stile espressivo, come Jackson Browne, John Mellencamp, Tom Petty (guida degli Heartbreakers e poi componente dei Traveling Wilburys di Bob Dylan) e Michael Stanley Band.

Vocalist roco e passionale, Bob Seger nella sua carriera si e` venduto un po’ a tutti i generi di moda, dal soul al southern-rock, dall’hard-rock alla ballata “Springsteen-iana”, conservando pero` sempre la grinta e il senso del ritmo che ha ereditato principalmente da Wilson Pickett e James Brown, e tenendo sempre l’occhio fermo sui problemi dell’uomo della strada. Le sue canzoni, lontane dalla grandeur di Springsteen, sono dunque nobilitate dai temi delle liriche, che nell’insieme tracciano un affresco sentimentale della classe media, della piccola borghesia e del proletariato nell’America della crisi.

Bob Seger, sulle scene fin dall’adolescenza per far fronte all’estrema miseria di famiglia, riassunse nel proprio stile i diversi generi di Detroit: il soul della Motown, i gruppi heavy politicizzati, il blues di Hooker. Alla fine degli anni ’60, sulla scia del concittandino Mitch Ryder, era riuscito a costruirsi una personalita` e godeva di un seguito affezionatissimo. Ma fino al 1976 la sua fama resto` chiusa dentro l’urbe della “motor-city” e hit sfolgoranti come Heavy Music (1966) e Ramblin’ Gamblin’ Man (1967), che furono presi a modello persino dagli MC5, e l’anti-militarista 2+2=? (1968), dovettero accontentarsi delle classifiche locali. Ramblin’ Gamblin’ Man (Capitol, 1969) e` l’album che lo rivelo`, un album di blues ruggente. Noah (1969), Mongrel (1970), Brand New Morning (1971), che fu il suo album da singer-songwriter, Smokin’ O.P.’s (Palladium, 1972) e Back In ’72 (1973) erano via via meno “neri” e` piu` “bianchi”, e Seven (1974) contiene Get Out Of Denver.

La sua lenta ma inesorabile scalata al successo nazionale venne coronata quando, gettato il saio country-soul al vento, gli posero al fianco la Silver Bullet Band, un combo rhythm and blues di grande presa nei concerti dal vivo che col tempo si rivelo` una possente elettrica band di heavy-boogie. Attraverso ballads vigorose, sempre piu` influenzate dal rock sudista e sempre piu` ispirate ai riff storici di Chuck Berry, Seger giunse al suo primo capolavoro, l’album Beautiful Loser (Capitol, 1975), da cui sono tratte la scatenata Katmandu e l’atmosferica Beautiful Loser. Raggiunse l’apice della sua carriera, e la consacrazione a star del rock, con il disco doppio dal vivo Live Bullet (Capitol, 1976), sul quale presenta con la consueta carica emotiva i suoi cavalli di battaglia accanto a classici della musica di colore.

Con gli album Night Moves (1977) e Stranger In Town (1978) Seger divenne uno dei beniamini del pubblico americano, e di riflesso le sue ballate, spartite fra melodrammi del quotidiano (Night Moves, 1977; Still The Same, 1978), inni edonistici alla musica (Rock And Roll Never Forgets, 1977, Old Time Rock And Roll, 1978), affreschi urbani (Hollywood Nights, 1978) e cronache dell’alienazione “metalmeccanica” (Feel Like A Number, 1978), si fecero piu` lente e melodiche, pur conservando la grinta e l’asprezza del rhythm and blues.

We’ve Got Tonight Dopo lo sbandamento commerciale di Against The Wind (1980), che gli frutto` peraltro hit come Fire Lake e Against The Wind, e il tema cinematografico di Nite Tonite, Seger torno` all’epopea del “beautiful loser” con gli album The Distance (1982) e Like A Rock (1986), e altri drammi di incomunicabilita’ (Even Now, 1982; Understanding, 1984; Like A Rock, 1986), altre elegie di vita di fabbrica (Makin’ Thunderbirds, 1982) e altri squarci sociali (Roll Me Away, 1983; American Storm, 1986). Riconquistera` invece la cima delle chart con lo shuffle scipito di Shake Down (1987, un altro tema cinematografico) e con la nostalgia della provincia di Down On Mainstreet (1988) e Here I Go ON The Road Again (1990). Ma e` significativo che il brano migliore del periodo sia una cover, Shame On The Moon di Rodney Crowell.

Per quanto The Fire Inside (Capitol, 1991) e It’s A Mystery (Capitol, 1995) fossero mediocri e accolti con indifferenza, il tour del 1996 stabili` diversi primati di vendita di biglietti (centomila biglietti venduti nella prima ora di prenotazioni).

Seger ritorna dopo undici anni di silenzio con il mediocre Face the Promise (2006).

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Ian Hunter, il Viaggio di una Leggenda del Rock: Dagli Esordi alla Carriera Solista

Originario di Blackpool (1946) figlio di un funzionario del servizio segreto britannico. Inizia la carriera in Germania con il bassista Fred fingers Lee, poi torna in patria, entra nei Silence che successivamente si ribattezzano Mott the Hoople.

Ma è dal 1974 che la nostra storia parte in quanto a seguito di un allontanamento dai Mott the Hoople causato da un collasso fisico che Ian Hunter intesse la sua carriera solista. Oltre a lui anche il suo sodale Mick Ronson abbandona i Mott the Hoople.

Gennaio 1975 Hunter e Ronson formano la Hunter Ronson band, formazione utile a promuovere i rispettivi album solisti. Il primo album è del 1975, titolo omonimo ed è uscito su CBS, Mick Ronson è sempre della partita in qualità di collaboratore e l’abum si apre con la prima versione di “Once Bitten Twice Shy”.

Ronson sebbene si lega alla Rolling Thunder Revue di Bob Dylan sarà sempre presente nelle incisioni di Ian Hunter.

“All american alien boys” e “Overnight angels” sono due album di scarso successo. Il primo è registrato agli Electric Lady studios di New York e vede la presenza di musicisti decisamente “pesanti” come David Sanborn, Asley Dunbar e Jaco Patorious tra i tanti, si sente molto la passione di Ian Hunter per Bob Dylan e anche qui c’è un piccolo classico come “Irene Wilde”. Per “Overnights angels” del 1977 invece mostra una vera e propria involuzione a un semplice e banale hard rock.

Maggio 1977 trasferimento in Usa per riorganizzare la carriera. Lavori di produzione essenzialmente.

Bisonga aspettare il 1979 per tornare con un album decisamente all’altezza del nome, “You’re Never Alone With Schizophrenic”, album di notevole successo con tantissimi ospiti la E Street band di Springsteen fornisce alcuni musicisti come Roy Bittan e Max Weinberg d’altronde parliamo di una delle band del momento in più John Cale, Ellen Foley, Eric Bloom.

“Bastard” con John Cale al piano di John Cale e “Cleveland rocks” sono i due grandi classici dell’album.

Successo del singolo Just Another Night, Ian Hunter si conferma un vero outsider, Mick Ronson è di nuovo coinvolto. Poi nel 1980 l’uscita dell’immancabile live album, “Welcome to the club” registrato al Roxy di Los Angeles, ovviamente è affiancato on stage da Mick Ronson che insieme a Ian Hunter forma una coppia degna di stare alla pari di Ron Wood e Keith Richards. 

Short Back ‘n Sides 1981, con molti ospiti. 1981, esce “Short back n’sides”, mixato da Bob Clearmountain, coinvolge musicisti del giro dei Clash come Mick Jones che produce, Topper Headon, Ellen Foley e Tymon Dogg e in “Need Your Love” compare Todd Rundgren.

“All Of The Good Ones Are Taken” del 1983 mostra in copertina un Ian Hunter senza i suoi immancabili occhiali scuri, album discreto dove in uno dei suoi brani migliori in assoluto come “Death And Glory Boys” figura al sax Clarence Clemons.

Bisogna aspettare il 1990 per un album a quattro mani inciso con il fedele Mick Ronson, “Yui Orta”, album discreto che alterna pezzi molto interssanti con alcune cadute di stile.

Il 1995 invece è con “Dirty laundry” che troviamo un Ian Hunter a ottimi livelli,parliamo di un buon disco dove in alcuni pezzi come “Scars” si sente forte l’impronta di Bob Dylan, suo modello di riferimento in molte sue composizioni. Discretamente interessante è anche “Rant” da cui prenderà il nome la band che lo accompagna on stage e in studio.

In “Ripoff” è possibile ascoltare la grande classe del nostro, “Still love Rock and roll”, “Wash us away” e “Death of a nation” sono i pezzi migliori di un album che non sempre è di livello, alcune composizioni sono un pò fuori fuoco ed è un peccato.

Però nel 2007 Ina Hunter con “Shrunken heads” torna in circuito con un grande album. “Fuss about nothin”, “When the world was round” e “Soul of America” molto dylaniane sua antica passione, “Brainwashed” molto roccata come una vecchia volpe come lui sa fare. Molto bella “Guiding light” con un tono molto nostalgico dei tempi gloriosi andati. Nel 2008 Ian Hunter torna con “Man overboard”, i temi sono i soliti, ballate elettriche, la lezione di Bob Dylan come la canzone che dà il titolo all’album.

Ovviamente c’è anche tantissimo mestiere, ormai non ha più nulla di dimostrare, Ian Hunter è un musicista con un grandissimo passato ma che non ne vuole appendere la chitarra al chiodo.

“Arm and legs” è un pezzo memorabile che merita di stare fra le sue cose migliori come anche “Up and running”, rock and roll che sà di antico, come di antico è la quasi springsteniana “Babylon blues”. Struggenti “Flowers” e “Way with words” e gran finale con “River of tears”.

Il successivo “When I’m a president” del 2012 inciso la Rant band è decisamente più elettrico, l’asticella è decisamente salita “Fatally flawed” è un pezzo incredibile come incredibile è la canzone che dà il titolo all’album. Un’intera carriera passa in 4 minuti e poco più, poi da qui in avanti non serve elencare le canzoni migliori. Non c’è un brano al di sotto della media, “When I’m president” è una delle cose migliori in assoluto prodotte da Ian Hunter. L’album del 2016 “Finger crossed” è un album onesto minore rispetto ai precedenti, bisongna attendere il 2023 per il primo della serie “Defiance” che si concluderà quest’anno con la parte seconda. Sono due album pieni di ospiti come Johnny Depp, Mike Campbell, Joe Elliot, Ringo Starr, Waddy Watchell e mi fermo qui perchè sono davvero tantissimi. Tutti si sono offerti per poter partecipare alle sessions dei due album e i risultati sono davvero sbalorditivi per un artista nato nel 1939. Il primo sicuramente è il migliore con pezzi come “Bed of roses”,

“Guernica” e “No hard feelings”. Ad aprile di quest’anno è uscito “Defiance part 2” con molti musicisti coinvolti come ospiti, come Lucinda Willaims, Joe Elliott, membri dei Cheap Trick e le ultime registrazioni di Jeff Beck e di Taylor Hawkins. Le sessions di registrazione sono le stesse della parte 1 e fra le canzoni volgio segnalare “Hope”, “Precious” e “Fiction” fra le tante. Il livello compositivo è lo stesso del volume uno, ma sopratutto voglio segnalare che Ian Hunter è del 1939 e quindi è uno dei più anziani in assoluto in quella generazione di musicisti che hanno reso immortale la nostra musica.

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Scrivo di getto queste righe per celebrare in maniera semplice ma il più possibile concisa la dipartita di uno dei grandissimi del blues mondiale e della musica tutta perchè la sua influenza sui principali musicisti britannici e non solo nella prima metà degli anni sessanta è semplicemente fondamentale. E poi se parliamo di blues probabilmente John Mayall era l’ultimo grande vecchio rimasto in vita che ha calcato i palchi fino a pochissimo tempo fà. Parlavamo di influenza sulla stragrande maggioranza dei musicisti britannici dei sixties, qualche nome?

John Mc Vie, Eric Clapton, Mick Taylor prima di entrare nei Rolling Stones e ancora Jack Bruce, Larry Taylor, Peter Green e altri. Solo a nominare questi musicisti vengono i brividi e quindi il sottoscritto che conduce una trasmissione come Fragile su Jolly Roger Radio è semplicemente chiamato alle armi.

Nato a Macclesfield sobborgo di Manchester il 29 novembre del 1933, figlio di un appassionato di jazz da cui erediterà la passione per quella musica e per il blues e si dedicherà all’armonica, al piano e alla chitarra come autodidatta, poi una volta imparato i rudimenti si iscrive all’istituto d’arte ed entra nell’esercito britannico dove combatte in Corea. Ma è nel 1956 che inizia a suonare seriamente e si muove verso Londra dove trova un certo Alexis Korner che fà da chioccia alla maggioranza di musicisti di formazione blues. Forma i Bluesbreakers con Hughie Flint alla batteria, Roger Dean alla chitarra e John McVie al basso ed esordisce con un disco live nel 1965 registrato il 7 dicembre 1964 al Klooks Kleek di Hampstead, locale importante per la diffusione dei germi blues, jazz e skiffle a Londra. E’ un disco piacevole dove John Mayall ha già una grande padronanza del palco.

Ma è con il secondo album del 1966 con Eric Clapton alla chitarra che si ascoltano le scintille, registrato a West Hampstead ai Decca Studios e prodotto da Mike Vernon eminenza grigia del british blues l’album è famoso anche con il nome Beano in quanto sulla foto di copertina Eric Clapton legge il fumetto omonimo. In un paio di pezzi suona Jack Bruce e quindi si creano le basi per Cream. Segue Hard road dove al posto di Clapton c’è Peter Green un altro manico da paura e alla batteria Ansley Dunbar. A questo punto posso segnalare fra gli album da avere Crusade, Blues alone e soprattutto Blues from Laurel Canyon, località nei pressi di Los Angeles dove si trasferirà nella seconda metà degli anni sessanta in maniera definitiva. A Laurel Canyon troverà una grossa comunità di musicisti che sceglieranno il luogo per lo scenario naturale e le buone vibrazioni. Da segnalare anche Jazz Blues fusion e mi fermo qui in quanto la discografia di John Mayall è sterminata. Fragile ovviamente ricorderà il vecchio leone del blues.

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